Scendo le scale di legno con il mio solito carico di organizzazione, piani, agende e schemi.
So già che non verranno rispettati, ma me li porto dietro perchè ne ho bisogno. Preparare la scena mi infonde sicurezza.
L’improvvisazione non è il mio forte, ho una storia lavorativa, ormai piuttosto lunga, in cui la progettazione dell’azione e il resoconto di ciò che si è fatto è più importante del fare stesso; futuro e passato prevalgono sul presente. Ma è il presente l’unica dimensione temporale che esiste ed è quella che spesso non riesco ad assaporare fino in fondo.
Sono qui per immergermi nel presente, per accorgermi del mio lavoro, per far emergere le mie idee dalla materia , trasformandola.Per riconoscermi in quello che viene fuori, inaspettato e bello comunque perchè viene dalla propria fatica, dolore e gioia.
Come un figlio? Sì come un figlio.
Ma gli altri? Quelli che vengono qui e cercano il copione? E se il copione non viene rispettato come si muoveranno sulla scena? E se il maestro non parla e non li accoglie capiranno il suo valore ?
Quanto proiezioni inutili delle proprie insicurezze si fanno sugli altri.
Poi le persone entrano in scena e trovano la propria strada, chi prima e chi dopo. C’è chi pensa di guardare e poi si lascia contagiare dalle raspe e si unisce al coro.
Non ci sono prefazioni o postfazioni c’è solo il lavoro che crea e modifica il legno,ci sono i trucioli e la segatura lasciati dagli oggetti che escono pazientemente dal legno grezzo…cucchiai, mestoli, taglieri
Mi dimentico degli altri che sento intorno a me. Ho anch’io un pezzo di cedro che deve diventare un “appoggia mestoli” che mi chiama. Lo modello, lo incido, lo carteggio. Ogni tanto lo tocco e lo annuso.
Il concerto di raspe, seghetti, carte abrasive si fa più intenso e copre la musica di sottofondo che fa da base a questa orchestrazione spontanea. Dalla mia postazione non vedo ma sento e provo una piacevole sensazione di appartenenza a questo luogo, ai “miei” ragazzi che seguono il lavoro degli altri e al maestro sempre tormentato e difficile.
E’ uno di quegli attimi eterni che vorresti fermare per sempre e “…il naufragar mi è dolce in questo mare”.
di Barbara Bernardoni
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